Il 14 marzo un gruppo di donne indigene, coordinate dal Movimiento de Mujeres Indigenas por el Buen Vivir (MMI BV), ha iniziato una Caminata Plurinacional, a partire da diverse province argentine. (1)
La richiesta principale è stata che il terricidio contro la vita umana e la madre terra sia considerato un crimine di lesa umanità e lesa natura. Si denuncia inoltre l’estrattivismo che distrugge i boschi nativi e le risorse fondamentali come l’acqua, condannando l’impunità di cui godono le grandi multinazionali, spesso in combutta con Stati e Governi compiacenti.
Tratto da https://www.pagina12.com.ar/339848-la-caminata-de-1900-kilometros-de-las-mujeres-indigenas-cont
La marcia è iniziata proprio nel giorno definito come il Dia Mundial de lucha contra las Represas (le dighe) e si è conclusa a Buenos Aires il 22 maggio, un giorno prima del compimento di 211 anni dal grido di indipendenza dello Stato Argentino, che si è dimenticato della libertà e dei diritti dei popoli nativi argentini.
Le donne che vi hanno partecipato sono consapevoli che la situazione non può cambiare da un giorno all’altro, ma altrettanto determinate a lanciare un appello a tutta la società, per ottenere solidarietà ed appoggio a questa guerra contro il terricidio. Perché è urgente un cambiamento del paradigma della vita umana verso ciò che viene definito il Buen Vivir, proteggendo quei beni naturali indispensabili nel mondo in cui viviamo.
La colonna sud della marcia era formata soprattutto da donne Mapuche, ed è partita da la Puel Willimapu a Corcovado, Chubut; la colonna nord si è organizzata a Roque Sáenz Peña, nella regione del Chaco, composta principalmente da donne e bambine delle nazioni originarie Qom e Diaguita, continuando la camminata verso Resistencia, Paraná, Cayastá e Rosario.
Durante il percorso, soprattutto nelle città più grandi, alcune persone si sono aggiunte alla marcia, accompagnandola per alcuni tratti e sostenendone le richieste.
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A Rio della Plata, https://static.eldiario.es/clip/0719eeb0-56a4-4665-aca5-2079727a38e3_16-9-aspect-ratio_default_0.jpg
Una delle lider (2) del MMI BV è Moira Milán, una weychafe (guerriera) di 50 anni, caparbia e testarda, che ha sofferto persecuzioni, minacce e soprattutto il dolore di vedere massacrare il proprio popolo mapuche. (3)
Nella cultura mapuche il termine guerriera non ha niente in comune con la concezione bellicista tipica del winka (l’uomo bianco), perché la weychafe appare soltanto quando la lotta è necessaria. Dice la stessa Moira: “Oggi è mio compito essere portatrice di una grande forza, però se domani non ci sarò più, non cambierà niente, perché questa stessa forza si manifesterà in un’altra persona. L’importante è che questo spirito non scompaia”
Moira Milián, https://images.pagina12.com.ar/styles/width960/public/2021-05/160032-08-moira-riodescanso.jpg?itok=Csn3zmA7
Tutto è nato nel 2013, quando Moira organizzò un viaggio a Ushuaia, la città più australe dell’Argentina, per conoscere in profondità ciò che succedeva alle donne indigene delle varie etnie. Dopo diversi incontri, nel 2015, Moira e le sue compagne riescono ad organizzare una prima grande marcia di donne, dando vita al MMI BV, che presenta un progetto di legge sul riconoscimento identitario indigeno. Ora il movimento è composto da circa 500 donne di 36 etnie diverse.
Il terricidio è la sintesi del genocidio, l’ecocidio, il femminicidio e l’epistemicidio, patito dalle comunità indigene, dal momento in cui i popoli preesistenti allo Stato Argentino, sono state saccheggiate, distrutte e colonizzate. Il terricidio è un assassinio nei confronti dei tre sistemi di vita che la cultura indigena riconosce come tali: il mondo tangibile, quello percettibile (rappresentato prima di tutto dai luoghi spirituali, che formano un ecosistema spirituale, capace di rigenerare il circolo della vita) ed infine il mondo dei popoli.
E’ necessario dare un nome a queste differenti forme di sterminio, per prima di tutto capirle, conoscerle e quindi trovare collettivamente strategie di resistenza.
Ad esempio, Moira non si stanca di denunciare quelle imprese multinazionali che, come l’italiana Benetton, si accaparrano di migliaia di ettari di terra, azzerando la vita dei territori, violando qualsiasi diritto delle popolazioni e della natura.
Uno degli obiettivi dell’attuale lotta di resistenza dei popoli indigeni è la richiesta di riconoscimento della libera determinazione dei popoli e dei territori, oltre alla plurinazionalità dell’Argentina. Per poter definire delle azioni politiche a partire dalla “nostra visione come popolo, nel campo della salute, nei rapporti comunicativi, nel trasporto, nella produzione di alimenti e nel modello educativo”, ha affermato Moira in una recente intervista. (4)
Sempre Moira ci ricorda che la “paura è vinta dal desiderio di garantire la vita, dal sogno collettivo di un mondo migliore e dal desiderio di costruire un nuovo pane solidario, più equo e giusto, con cui si possa alimentare i sogni di un popolo verso la libera determinazione”.
Ma in questa marcia le donne hanno voluto anche rendere visibile la pratica del chineo (il nome che i bianchi diedero alle bambine ed adolescenti indigene per il loro viso che si presenta con gli occhi a mandorla, quasi fossero orientali, cinesi appunto). E’ una pratica secolare, secondo la quale alcuni bianchi o ladinos facoltosi “scelgono” bambine tra gli otto ed i dieci anni, per violarle, spesso con pratiche aberranti, in un rito di iniziazione che spesso conduce a gravidanze frutto di violenze di gruppo o spinge le vittime al suicidio.
Questa pratica spesso, purtroppo, avviene nel totale silenzio delle comunità: perché i violatori sono politici, commercianti, persone rispettabili che poi compensano le famiglie con un po’ di cibo o un animale, a volte con un lavoro per il padre della bambina che ha subito il sopruso..
Afferma ancora Moira: “Il chineo succede a causa del razzismo imperante, dell’indifferenza sociale, l’indolenza di una società intera che ritiene che i corpi delle bambine siano come oggetti usa e getta, senza nessuna considerazione per le persone indigene”.
Come affermava l’antropologa sociale Ana González in un articolo apparso sul giornale argentino Cuartopodersalta(5) “è un fatto di estrema gravità che avvocati difensori e perfino magistrati facciano un uso illegittimo ed illegale dell’antropologia, quando cercano di ricorrere ad usi e costumi per giustificare o attenuare un delitto ed una pratica aberrante che contiene aggravanti discriminatorie di genere, etnia, età e condizione socioeconomica”.
Ma fortunatamente, come ha dimostrato la marcia delle donne indigene, l’invisibile diventa visibile.
Perché “Questo pugno di sorelle, questo pugno moltiplicato a decine, a centinaia, a migliaia di donne è la voce di chi non ha potuto partecipare o di chi, purtroppo, non c’è più. Stufe del terricidio, di tanta impunità e ingiustizia, abbiamo deciso di uscire a camminare, perché siamo parole vive di fronte a tanta morte” (6).
Note:
Qui il riferimento alla marcia e all’iniziativa concomitante organizzata a Roma da Non una di Meno https://comune-info.net/seminano-terricidio-raccolgono-ribellione/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Imparare+la+lezione+o+vaccinare+i+bambini%3F
Scusate lo spagnolismo, ma doveroso
Qui una documentazione preziosa su Moira, fortunatamente in italiano https://radiosonar.net/terricidio-e-pandemia-il-racconto-di-moira-millan/
https://cuartopodersalta.com.ar/para-terminar-con-el-chineo/
https://www.facebook.com/movimientodemujeresindigenasporelbuenvivir/, la pagina facebook da cui è tratta anche la foto di copertina dell’articolo
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