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Maria Teresa Messidoro

Perù: tecnologie al servizio delle ambientaliste

Una attivista kichwa utilizza la tecnologia per difendere il suo territorio


Primi anni ’80, a Torino, in Italia.


Denunciare le violazioni dei diritti umani che avvenivano in Centro America non era semplice.

Senza internet o i moderni cellulari, le notizie sorvolavano l’oceano grazie a telefonate effettuate nelle ore più disparate del giorno e della notte.


Mi ricordo ancora quando dovevo recarmi nella sede centrale delle Poste a Torino per inviare i telex di protesta ai governi dittatoriali di turno nelle repubbliche centroamericane. Una volta, mentre stava inviando il messaggio, l’impiegato mi comunicò, smarrito ed imbarazzato, che il destinatario, in quel caso, le Forze Armate di El Salvador, aveva interrotto la comunicazione, chiedendo chi era il mittente. Risposi con calma, consapevole che si trattava ancora una volta di un controllo per niente velato e di una ulteriore minaccia, neanche questa tanto velata, nei miei confronti.


2021, nel distretto di Napo, Perù.


Betty Rubio è una donna kichwa, statura media, capelli scuri e lisci, la pelle tostata dal sole per il troppo camminare nei boschi dell’Amazzonia.


Foto tratto dall’articolo Peru, la lideresa kichwa que usa la tecnologia para defender su territorio (1)


Betty è una donna come tante, madre di sei figli, il cui nonno fu schiavizzato durante il periodo della Febbre del caucciù, epoca in cui migliaia di indigeni furono sottomessi alle più crudeli vessazioni.


Betty però, dopo essere stata presidente della comunità di Puerto Arica, nel 2018 divenne la prima presidentessa donna della Federación de Comunidades Nativas del Medio Napo, Curaray y Arabela, nella provincia di Maynas, regione settentrionale peruviana di Loreto, lottando contro il narcotraffico, la deforestazione clandestina e le miniere illegali.


Nel censimento del 2017, circa 6 milioni di peruviani (il 26% della popolazione) si auto dichiararono indigeni, e di questi il 52% erano donne. Ma questa percentuale non si riflette nella partecipazione politica e nella rappresentanza a livello organizzativo autonomo: nel caso delle comunità native dell’Amazzonia, il 96% delle presidenze sono occupate da uomini (2370). Betty e Zoila Merino, prima presidentessa donna della Federación de Comunidades Nativas del Ampiyacu (FECONA), appartengono a quel 4% di donne indigene che occupano un incarico rilevante.


Per Betty e per Zoila non è stato facile assumere un impegno sociale, costrette ad abbandonare per lunghi periodi le proprie famiglie, e ad affrontare il maschilismo tutt’ora presente nelle comunità indigene e nelle stesse federazioni. Per molto tempo “non si è voluto ascoltare la voce delle donne”, afferma Zoila in una intervista. (2)


Betty è una delle cinque donne, di un gruppo di 130 persone, scelte dalle proprie comunità di appartenenza per partecipare ad un corso di formazione, organizzato dalla Organización de Pueblas Indigenas del Oriente (OPRO) e da Rainforest Foundation US (RFUS), per compiere un lavoro di monitoraggio ambientale. Le capacità di apprendimento di Betty hanno fatto sì che in poco tempo divenne a sua volta formatrice, insegnando ai suoi alunni a usare mappe satellitari con i propri telefoni intelligenti per la rilevazione di deforestazioni e per effettuare i successivi controlli. (3)



Le informazioni raccolte da Betty e dalle altre persone coinvolte nel monitoraggio vengono raccolte nel Centro de Información y Planificación Territorial, diretto da OPRO, il primo centro dati interamente gestito dalle popolazioni indigene. A cui spetta il compito di valutare collettivamente le informazioni raccolte.


Secondo la Piattaforma Geobosques del Ministerio del Ambiente del Perù, tra il 2001 e il 2020, nel distretto di Napo, si sono persi circa 11 mila ettari di bosco.


Nello stesso periodo, più di 250 comunità indigene della regione Loreto sono state multate, spesso perché vittime di truffe da parte delle ditte illegali che vogliono deforestare il territorio e promettono servizi e compensazioni economiche ai locali. Soltanto nel distretto di Napo, le comunità sanzionate sono state 40.


Ma da quando funziona il programma di monitoraggio, sono stati recuperati migliaia di metri cubi di legna già tagliata, distrutte draghe utilizzate da miniere illegali sorte vicino alle foci dei fiumi Napo e Nanay. Inoltre, nelle comunità native che usano i dati satellitari, nel 2020 la deforestazione si è ridotta del 52%, nel 2021 ha già raggiunto il 21% in meno. (4)


Uno dei casi più recenti è stato quello rilevato in marzo di quest’anno alla foce del fiume Tamboryacu, in seguito ad una allerta lanciata dalla piattaforma Geobosques del Ministerio del Ambiente.In questo modo, grazie a video, fotografie e coordinate precise, l’intervento fiscale del 28 aprile 2021 ha permesso impedire l’invasione nel territorio della Asociación Evangelica de la Misión Israelita del Nuevo Pacto Universal, installatasi in un bosco protetto presso la piccola comunità di Nuevo Libertador.


Gli israeliti (così vengono chiamati gli appartenenti a questa setta religiosa) erano già entrati nella zona, tagliato alberi, probabilmente per seminare la coca, come già avevano realizzato in altre comunità indigene. (5)



Betty Rubio è instancabile: mentre continua a seguire il monitoraggio di Puerto Arica, una zona di quasi 8 mila ettari, continua a cercare appoggio per le comunità che devono affrontare i processi contro le azioni illegali legate alla deforestazione e alle miniere. Senza trascurare il lavoro di crescita e autodeterminazione delle donne indigene, tra cui la stragrande maggioranza (l’81%) non accede alle scuole secondarie, mentre circa la metà non ha nemmeno frequentato la scuola primaria.



Betty è consapevole che il suo lavoro, grazie anche alle nuove tecnologie, è importante per aprire nuove strade ad altre donne indigene. Anche se difendere l’ambiente nella selva peruviana significa ancora oggi sfidare minacce e la stessa morte.


Note:

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